Ecco la prima parte del mio articolo pubblicato su davidbowieblackstar.it, sulle radici culturali del capolavoro nascosto di David Bowie "1.Outside" ... argomento ostico e controverso.
Era il 1995 e di futuro si parlava in "1.OUTSIDE", ma di un futuro oscuro; di una società distopica dell’anno 1999, decadente e corrotta in cui l’omicidio e la mutilazione di corpi umani sono l’ultima tendenza di una forma d’arte degenerata.
In questo futuro, il detective Nathan Adler si aggira tra i bassifondi neogotici di una grande città e indaga su una serie di omicidi rituali a sfondo artistico. Le indagini di Adler (che si definisce un hacker di computer), lo portano sulle tracce di Ramona A. Stone, una quarantenne sedicente artista e, a detta dei suoi accoliti, tirannica e futurista sacerdotessa del Centro Caucasico dei Suicidi, la quale colleziona nel suo negozio abomini e parti centrali amputate di corpi. Altri oscuri personaggi si aggirano nell’inquietante bassofondo suburbano. Minotauro l’Artista (a sua volta aspirante opera d’arte, in progressiva fase di smembramento). Il triste 78enne, Mr. Algeria Touchshriek, commerciante in droghe artistiche, e parecchio disturbato. Leon Blank, giovane maschio di razza mista, pregiudicato, che adesca la giovane vittima, Baby Grace Blue, personaggio chiave della storia. E’ la quattordicenne Baby Grace nel cui braccio Minotauro introduce 16 aghi di liquidi conservanti, coloranti, anestetici e droghe “interessanti”. Con l’ultimo ago le asporterà tutto il sangue. Successivamente le sue parti sezionate saranno esposte e ammirate come opera d’arte. Ma si tratta davvero di arte? Quali sono le radici storiche cui attinge Bowie e quali son gli artisti di riferimento, ma soprattutto cos’è il Decadentismo?
QUADRO STORICO: IL DECADENTISMO
Il Decadentismo, nato inizialmente solo come corrente letteraria, viene poi considerato una vera e propria forma di cultura e di civiltà artistico-letteraria. In pittura si definisce Decadentismo, la corrente d’arte che si sviluppa e si incrocia con le opere degli artisti Simbolisti che operavano fra il 1880 e la Prima Guerra Mondiale e che si esprimevano attraverso immagini simboliche, forme preziose, prediligendo soggetti strani e artificiosi. Il movimento trova corrispettivi in correnti che presero nomi diversi a seconda del paese in cui si svilupparono, come il Liberty o Stile Floreale in Italia, L’Art Nouveau in Francia, lo Jugendstil in Germania, la Secessione in Austria, Modern Style in Gran Bretagna e Modernismo spagnolo in Spagna. Nasce negli ultimi decenni del XIX secolo in Francia, nei locali frequentati da giovani artisti, pittori, poeti e musicisti che cercavano di farsi notare con opere stravaganti, che avevano lo scopo di scioccare il pubblico. D’altra parte il termine “Decadenza” dava proprio l’immagine di un mondo e di una società che stava andando in pezzi, come effettivamente fu con lo scoppio della prima Guerra Mondiale. Dal punto di vista letterario il Decadentismo, affermatosi come reazione al Naturalismo, rivela la precisa esigenza di esprimere la propria vita interiore e l’esplorazione del subconscio. La nuova spiritualità si riallaccia a due motivi essenziali del Romanticismo: il sentimento ossessivo del mistero e l’irrazionalismo. La ragione è decisamente ripudiata non più in nome del sentimento, ma dell’affermazione delle forze oscure del subconscio. Con la ragione è possibile vedere solo l’apparenza, per questo i decadentisti la rifiutavano come unico strumento di conoscenza. Questa visione del mondo produce nell’arte una rivoluzione radicale, nel contenuto e nelle forme, che potremmo riassumere nei termini di simbolismo e misticismo estetico.
IN GENERALE
Nell’arte europea il comportamento artistico non è un acceleratore di emozioni ma presa di coscienza, atto antropologico, atteggiamento critico e produzione di immagini allegoriche tese al recupero di una più ampia dimensione antropologica (Beuys, Pisani, Chiari, Sieverding, Rainer, Ontani, Abramovic, Ulay, Rinke, Luthi, Zaza). Il trend internazionale favorisce la formazione di numerose “tribù dell’arte”, gruppi di artisti di diversi paesi che hanno rinnovato linguaggi e comportamenti collettivi, incidendo nel tempo sulla mentalità delle nuove generazioni di artisti e sul costume sociale. Esse si caratterizzano per lo sconfinamento dello specifico attraverso operazioni di aggregazione e contaminazione di diversi linguaggi nel desiderio di accorciare la distanza fra arte e vita e sintonizzando su un unico alto registro etica ed estetica. Tali gruppi sono: Lettrismo (1947), Situazionismo (1952), Gutai (1954), Happening (1959), Fluxus (1961), Azionismo Viennese (1965) con Hermann Nitsch, Factory (1963) con Andy Warhol.
Gli artisti di queste tribù hanno operato fuori o ai margini del sistema dell’arte internazionale, preferendo realizzare i propri interventi in spazi alternativi ai musei e alle gallerie tradizionali e investendo con la propria energia creativa luoghi e pubblico in maniera radicale e coinvolgente. Spesso le opere evidenziano il valore del processo creativo più che un prodotto formale definito e rifinito. Alla fine la produzione artistica consiste nella fondazione di un’etica del fare più che di un’estetica del formare. Tali tribù hanno attraversato senza alcun patetico anacronismo gli spazi sovraffollati e anonimi della metropoli moderna segnalando il valore della solidarietà, degli artisti tra loro e di questi col pubblico. Dopo gli anni ’70 l’arte pervade spazi di fruizione che allargano il campo della sensibilità individuale e sociale, ponendosi in sostanza specularmente, antagonisticamente alla realtà. L’arte conserva una valenza funzionale e funzionalista che l’assimila all’ideologia tout-court, alla psicanalisi e alle scienze del proprio progetto, delle antinomie e degli scarti negativi del mondo.
Sotto la suggestione del ’68, l’arte ipotizza la possibilità di una pratica artistica che riesca a darsi come omologo ed immagine dei primi esempi di guerriglia che cominciano a manifestarsi nelle grandi città europee ed americane. In un’area di sconfinamento tra teatro e performance agiscono rispettivamente Pistoletto ed il Living Theatre di Julian Beck e Judith Malina, un tentativo di coniugare insieme arte e vita negli spazi alternativi della quotidianità. Sostanzialmente gli artisti degli anni Settanta hanno vissuto, in quest’ottica, il dramma della politica e della natura. Un atteggiamento che ha portato gli artisti a considerare la natura come riferimento rigenerante e liberatorio, in opposizione all’ambito sociale repressivo e artificiale. La pratica del ‘naturale’ diventa il dispositivo che permette di dare un colore politico all’arte. L’arte diventa il nascondiglio, il luogo di un’ideale indeterminazione, che permette all’artista di sentirsi superbamente al riparo dalla condizione utilitaristica del mondo. Ad una realtà designata in ogni sua funzione, interamente nominata, l’artista risponde con opere che portano “senza titolo”, che dovrebbe preservare l’arte da ogni cattura mondana, contrariamente alla grande lezione di Duchamp. Perché questa indeterminazione aumenti, l’arte degli anni Settanta accentua la sua preferenza verso i linguaggi astratti e non figurativi, nella convinzione che tale scelta qualifichi il suo operato in una direzione che, riferendosi ai suoi antenati dell’astrattismo storico, riafferma la sua connotazione progressista.
L’arte degli anni Settanta invece non si dà più come pura presentazione grammaticale dei materiali, ma in un atteggiamento più sapientemente culturale. Infatti prevale una tensione verso la rappresentazione, la narrazione figurativa che riporta il riferimento della natura nell’ambito della citazione, del recupero culturalizzato e dunque filtrato dalla memoria storica dei linguaggi dell’arte.
(TO BE CONTINUED...)
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